Giovanni Solofra, che con la moglie Roberta Merolli, è lo chef deiTre Olivi di Paestum, è stata la vera sorpresa della Guida Michelin di quest’anno. Due stelle insieme non le avevano mai date a nessuno, nemmeno a Vissani quando, dopo un’anticamera di una decina di anni (mai ben spiegata) concordò la sua presenza in guida: due stelle, ma in due anni e non assieme come lui desiderava. Giovanni invece ci è riuscito, e quindi plaudiamo l’impresa. Merita le due stelle? per noi la risposta è “sì”, anzi ne merita tre: due per la bravura come chef, e una per le sue doti di attore. E’ il vero personaggio napoletano, che ti seduce e ti incanta con le sue storie, un affabulatore nato, che oltre all’ingegno ci mette il sorriso e la grazia e rende credibile una costruzione complessa e studiata a tavolino di ogni ricetta (non solo nei suoi ingredienti e tecniche di lavorazione, quanto nei suoi rimandi sociali, di costume e folklore) che sembra quasi naturale e spontanea quando invece nulla è stato lasciato al caso. Ogni piatto è una recita a soggetto condotta sul doppio binario, quello del gusto e quello della scena, ed è facile dire che lo spettatore, cioè il cliente, è alla fine più che contento avendo preso due piccioni con una fava. Ma anche restando strettamente legati alla tavola Giuseppe merita ampiamente le lodi. Ci era già molto piaciuto anni fa a Taormina (dove cucinava sotto l’ombrello di Heinz Beck), ora l’abbiamo trovato molto più maturo, sicuro, felice ed orgoglioso di poter spaziare con libertà tra i suoi istinti e ricordi. La serie delle ricette del suo menù presuppone non solo grande creatività ed intelligenza, ma anche una brigata coesa ed esperta, e questo è sicuramente un altro problema che dovrà affrontare, ma ora con la fama delle due stelle di colpo raggiunte di sicuro avrà meno problemi. L’ultimo plauso è per Roberta. Probabilmente ha grande influenza lungo tutto il percorso gastronomico, ma poi quando arriva il momento finale della cena, dove ci mette la faccia e la firma, si scopre che non è solo momento ma un altro felice percorso pieno di colori e allegria in perfetta linea con il precedente.
Ristorazione&Ospitalità
Una giornata con pioggia battente senza tregua, eppure Le Trabe lasciano il segno. D’altronde l’acqua è la vera protagonista della scena, ti accompagna con i canali, gli sfiori, e le cascatelle e scorre perfino sotto il tavolo dove mangi. Immersi nell’acqua e nella natura si gode lo spettacolo del verde intorno, delle piante, delle papere che animano il paesaggio. Un posto talmente bello che verrebbe voglia di fare solo un dejuneur sur l’herbe, però anche l’alternativa gourmet seduti all’elegante tavolo è attraente. Antonio (con il fratello Raffaele) Chiacchiaro gestisce questo piccolo paradiso che giustamente per la Michelin vale due stelle, una per il cibo e una per il green, ci accoglie ricordando l’ultima volta che aravamo qui, con Gualtiero Marchesi in una cena che è nei ricordi di tutti i presenti. Da qualche tempo c’è un nuovo chef, Marco Rispo, anche lui ingegnoso e bravo, si destreggia con abilità e merita di sicuro la lode per l’impegno e la giovane brigata. Però le cose migliori alla fine erano le più semplici, la minestra di rinforzo, la scarola imbottita, la cernia a vapore, cioè i segni dell’ orto e dell’acqua che qui naturalmente vorresti anche a tavola e non solo intorno. Ma tutto il menù comunque scorre bene, e si fa apprezzare, salvo uno spaghettone un pò troppo appesantito dalla bufala coniugata in tre tipologie. Servizio altrettanto giovane e cortese, e a fine pranzo esce anche un pò di Sole e siamo quasi al tramonto. In tempo per un’ultimo sguardo a questo bellissimo posto.
Uscendo sulla Nomentana poco prima del raccordo, una nuova pizzeria che si propone già oggi gradevole e che un domani (prima dell’estate) sarà completato con alcune camere e una terrazza per eventi. I due giovani titolari sono per altro esperti: Federico Del Moro e Federico Coniglio, e hanno chiamato due giovani pizzaioli in gamba come Giovanni Giglio e Mattia Lattanzio. La proposta è usuale (fritti e pizze) ma già al presente si allarga con una serie di monoporzioni dolci ben eseguite della Pasticceria Decore. Un locale quindi piacevole che per altro promette a breve di esserlo ancora di più. Tra gli assaggi ci ha colpito l’originale pizza con i topinambur, elegante e ben equilibrata nei sapori.
Si ritorna sempre volentieri da i Masanielli alla ferrovia di Caserta, dove Sasà Martucci (fratello di Francesco) porta avanti con successo la sua idea di pizza. Anche lui è maniacale, attento al dettaglio, desideroso di stupire il cliente, inarrestabile nel descrivere le sue ricette. E’ la forza della passione, l’orgoglio di appartenenza alla categoria, il cercare di dimostrare che a Caserta la pizza ha una marcia in più. E le pizze che assaggiamo sono in effetti curate, equilibrate e convincenti, soprattutto l’ultima, dedicata alla Puglia che per altro ancora non è stata messa sul menù, ma lo sarà a breve. Con noi a godere degli assaggi Antonella Amodio, bravissima collega e Cesare Avenia dell’azienda vinicola il Verro, e anche presidente del Consorzio dei vini casertani.
Arrivare a Piaggine è sempre difficile, ancor più quando imperversa una tormenta di neve! Ma vale la pena, per scoprire un personaggio notevole, Pietro Macellaro, ed il suo mondo. Terza generazione di Macellaro a cominciare dal nonno Pietro come lui, per arrivare appunto ad oggi. Pietro ha rivoluzionato l’antica pasticceria per costruire qualcosa completamente diverso ed innovativo. Pasticceria agricola cilentana la chiama per dare più senso e valore al messaggio. Ed in effetti se le fave di cacao vengono da lontano (lui il cioccolato se la fa da solo, non lo acquista), il resto, dalle violette di campo all’origano di montagna, lo trova lui nella campagna incontaminata che lo circonda. Ha anche una masseria attrezzata per l’ospitalità dove tiene corsi e offre le sue degustazioni. Ha talento, ma anche formidabile predisposizione alla comunicazione, e una compagna di valore che lo aiuta: il risultato è che è conosciuto non solo a Piaggine (pochi abitanti e qualche vacca) ma anche a New York (dove ha aperto un corner di vendita) e soprattutto ad Hong Kong per la consolidata e fruttuosa collaborazione con Umberto Bombana. Insomma da Piaggine alla conquista del mondo, un insegnamento per tutti: non conta dove si nasce, ma conta quello che hai dentro di te e che riesci ad esprimere.
Che colazione quella proposta da Giuseppe Manilia a Montesano! Stupirebbe pure se fossimo a San Babila o a piazza di Spagna, figuriamoci quaggiù al limite tra Campania e Basilicata! La saletta già sembra una boutique di gioielli ed in effetti i gioielli ci sono. Luminosi e coloratissimi fanno bella figura nei trasparenti display a temperatura controllata. Ci sediamo nel piccolo tavolino e serviti di tutto punto arriva la sequenza dei dolci: una soave e rinfrescante macedonia di frutta, il dessert di benvenuto, e poi via via arrivano i lievitati, il millefoglie ed la pasta bignè, tutti sfornati almomento e di qualità ineffabile come è raro trovare in Italia. Prenotate per tempo questa sosta per fare un’esperienza diversa, quasi inedita nel panorama italiano, in un posto che davvero non ti aspetti.
Una serata veramente diversa dal solito, con una cena svoltosi nella spettacolare Villa Wolkonsky a San Giovanni, residenza dell’Ambasciatore inglese (per altro da poco arrivato a Roma). Serata dedicata al poeta scozzese Robert Burns, che oltre ad essere un gran poeta, era anche amante del cibo. Giuseppe Di Iorio (con l’aiuto di Dario Pizzetti chef resident) è stato molto bravo a ideare un lungo percorso di ottimi prodotti arrivati freschi dalla Scozia e rielaborati il giusto necessario per adattarli al clima italiano. La serata è stata introdotta da Eleanor Sanders, ogni portata alternata alla lettura di una poesia, e abbinata ad una birra diversa. Insomma, nonostante la lunga permanenza al tavolo, non ci siamo di certo annoiati. Da citare tra le pietanze l’ottimo e delicato salmone ben rispettato dallo chef, e tra le birre la setosa e avvolgente stout Loch Lomond Brewery e la rifrescante e spiazzante Bramble and Coffee della Vault City Brewery.
Siamo affezionati a Tea Guerini per i piacevoli ricordi della sua partecipazione ad Emergente Sala. COn il compagno SImone Frerotti formano una delle più belle coppie della nostra ristorazione. Da poco hanno rilevato questa Piazzetta che nel finire dello scorso millennio era il locale forse più titolato di Brescia. E’ stato rinnovato e reso ancora più elegante e Tea si muove in sala con sicurezza e professionaità confermando le sue doti. La cucina di Simone è particolare, non segue una specifica scuola, ma soprattutto i suoi sogni, ne consegue che il menù offre stimoli originali e percorsi inusitati. Mostra indubbio coraggio a percorrere una linea che alterna contaminazioni spagnole e orientali, che rincorre a volte grandi classici e che ha l’ardire nel finale di proporre due dessert tra i più difficili, il soufflè al cioccolato e il kouign amman (la celebre galette brettone con zucchero e sale sfogliata e croustillante che in Italia non avevo mai visto proporre). Un percorso che è una specie di salto ad ostacoli con stampelle e che metterebbe a dura prova chiunque. Simone invece si mostra poi sereno e tranquillo. Che dire se non complimentarci da una parte per questa voglia di osare, ma dall’altra pensiamo che dovrebbe ampliare e rafforzare il suo bagaglio tecnico prima di scalare l’Everest.
Sarà la bella giornata complice, ma è difficle trovare delle pecche in un ristorante come questo che ti accoglie con la sua sala che è uno splendido jardin d’hiver, e un personale giovane e preparato a conferma della professionalità che la famiglia Alajmo trasmette ai suoi collaboratori. Il verde e l’orto intorno completano la cornice (e non lontano c’è pure un pollaio). Mancava in sala Michela Gobbo, ben sostituita dalla giovane Ilaria, sommelier verace, mentre in cucina il giovane Mattia Ercolino ben interpreta i fondamentali di Massimiliano con una proposta articolata, golosa che vuole dare all’ospite sapore e confort, limitando rischi ed avventure improvvide. Largo spazio alle verdure come è prevedibile dal contesto, ma anche la carne ed il pesce sono presenti e ben trattati. Il radicchio in tempura merita da solo un viaggio (partendo anche da lontano), ma il resto non è da meno, dalla succulenza dell’uovo all’ottima pollastra. Anche i primi sono buoni: la calamarata zafferanoe liquirizia un classico di Alajmo, i tortelli altrettanto golosi, meno ci sono piaciuti gli spaghettoni fin troppo ricchi di intingolo. Nel finale un elegante anche se un pò semplice tortino al cioccolato e un irresistibile dobos con granita di lambrusco. Ringraziamo Marisa Huff della compagnia,
Che siamo in Italia ce lo ricorda solo l’accento di chi ci accompagna nella visita (la gentilissima Serena) e la ristorazione (articolata in diversi punti: bar AMO; pizzeria al 4 pizze, mensa La Serra, gourmet Le Cementine, tutte sotto la gestione della Famiglia Alajmo). Per il resto sembra di stare in California, sia per la bella giornata di sole in un autunno che sa di primavera, sia per l’ampiezza degli spazi, la vastità del progetto, l’internazionalità delle presenze, la molteplicità degli insediamenti, il coraggio di guardare al futuro. Incubatore di avventure tecniche, vivaio di startup, sede di corsi di formazione, e tante altre cose ancora, H Faem è uno di quei luoghi che non finiscono mai di sorprenderti e ti fanno sentire orgoglioso di essere in Italia.