The White Rabbit a Mosca

Forse era il momento giusto, poi sono arrivate le sanzioni, morale è scattato l’orgoglio russo in cucina creando un movimento teso a riscoprire le proprie radici, a ricercare prodotti ormai dimenticati, a ritrovare abbinamenti e sapori che sembravano desueti. Si avverte questa nuova tendenza andando in giro per la Capitale, e questo White Rabbit ne rappresenta la punta, il locale più rappresentativo, il più ambizioso nel cercare di riproporre il passato in veste moderna e spendibile anche verso il mondo esterno. Dietro c’è un investimento non da poco: gli ultimi due piani di un moderno palazzo nella parte forse più elegante in città, con una grande cupola che separa la sala dal cielo e lascia vedere la città illuminata. Accueil con bella presenza, divanetti soffici, lusso nei dettagli, il White Rabbit non si fa mancar niente rispetto ai canoni del ristorante di lusso. Vladimir Mukhin, il celebrato chef, propone un menù degustazione a 130 euro, e un menù alla carta con una scelta (che ci sembra esagerata) che supera largamente il centinaio di proposte. Con degli amici ne abbiamo provato parecchie, battendo la via del mare (capesante, gamberi, granchio reale, merluzzo, storione ecc..) o della carne (cervo, anatra) ma con risultato pressocchè identico e largamente insoddisfacente. Piatti non curati e di modesta presentazione (salvo il cervo), cotture tutte oltre il punto, sapore dolciastro che alla fine uniforma ogni assaggio e rende la cena monotona e stancante. Modesti anche i dessert finali, e visto anche la pretenziosità del contesto, sono criticabili altri particolari come la povertà degli stuzzichini iniziali e della piccola pasticceria, la supponenza del servizio (con il cameriere del nostro tavolo che non parlava nemmeno l’inglese). Saremo forse capitati nella serata sbagliata, di certo è che il 18simo posto nella 50 best ci sembra decisamente fuori luogo.

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