Un pò defilato, quasi nascosto all’interno di un loft, ma appena dentro si capisce che che l’esperienza sarà particolare. Ce l’anticipa un ambiente dove il monocromo bianco non sembra nè spoglio nè ospedaliero grazie ad una elegante trama trasparente che fa intravedere la cucina e che dà un tocco di finezza al contesto ravvivato anche da un giardino interno. E’ il nuovo (ormai da un anno) regno di Luigi Taglienti, che in poco tempo non solo ha ripreso pienamente la sua collocazione milanese, ma si sta distenguendo ancora più di prima, se possibile. La pausa gli ha fatto bene, e lo ritroviamo più maturo, con una linea di cucina, dalle radici liguri (Lui è di Savona), ma che ha l’ambizione di dialogare al mondo. Con molto più equilibrio di prima spazia tra le note acide e dolci, senza asperità, senza tentennamenti, senza ridondanze. Su ogni piatto arriva quello che ci deve stare, senza uno sbaffo in più, e pensiamo che siano pochi ad essere così talebani in tutta Italia. Il pane è da sballo, gli stuzzichini iniziali innovativi e divertenti (difficile scegliere il migliore, forse l’acqua limone olio e liquirizia). Nella sequenza di indubbio effetto e classe, alcune piccole note a margine: poca callosità nei ravioli di zucchine, panatura fin troppo evanescente nei filoni con il pompelmo (ottimo comunque l’abbinamento) e forse troppa rapa rossa nel dessert. Anche la sala è competente: Luca Pedinotti si avvale di Lorenza Panzera e Federico Recrosio, mentre citiamo almeno Saverio Piccolo, il braccio destro di Luigi Taglienti. E ringraziamo dell’invito Marco Bruzzi, titolare della struttura, visibilmente contento di come stanno andando le cose.