Eravamo un pò prevenuti. Sapevamo che il cuoco era preparato, ma sapevamo anche che aveva curato ogni dettaglio, dai materiali dei vari ambienti, ai differenti stili e colori, dalla grafica ai titoli dei vari menù e piatti (tutti nomi di fantasia, e questo non è che ci piaccia tanto). Un locale poi aperto solo di sera e non la domenica pur essendo una Casa in campagna, intitolata per altro a nonna Dina. Eravamo insomma un pò prevenuti: ci sbagliavamo, per vari motivi. Lui, Alberto Gipponi, varie esperienze ma quella importante è un anno alla Francescana, è persona matura e non il giovane esuberante smanioso ed ambizioso che avevamo in mente. E’ maturo sia per l’età, ormai vicina ai 40 anni, sia per il retroterra culturale che lo anima. Ma il suo atteggiamento, pur se leggermente pesante e fin troppo minuzioso nel dettaglio didascalico delle presentazioni, è di disarmante semplicità e questo gli fa onore. Stiamo parlando di lui, e non dei piatti, perchè siamo di fronte ad un locale fortemente identatario dove la personalità del cuoco è immanente e veste qualsiasi cosa, anche le luci e le posate, la scritta di benvenuto e il sapone della toilette. Quasi non vorremmo, ma qualcosa sul cibo poi dobbiamo pure dire, perchè questo è un ristorante alla fin fine. E anche su questo versante Alberto è maturo, in grado di proporre piatti classici del territorio di ottima fattura, ma di certo ha la tendenza ad andare per la sua strada emozionale. E’ già un gigante sui brodi, di vario tipo, che lungo il percorso hanno inframezzato il menù. Ci è mancato solo l’ultimo, prima dei dessert, sostituito da un più pesante ma improbabile (per la posizione) risotto, mentre le note del balsamico rinfrescante sarebbero state coniugate meglio anche qui dal brodo, come filo conduttore. E’ bravo anche nell’armonia e negli equilibri delle composizioni prevalentemente vigetali come gli eleganti agretti e la sensazionale zuppetta servita nel thermos a bidoncino. Secondo noi deve ancora crescere nei piatti più complessi (vedi l’agnello e il fegato) e nei dessert, ma, diciamolo pure, qui c’è già tanta roba da far felice qualsiasi palato.