Avevamo molta curiosità nel vedere da vicino l’approdo di Matteo Lorenzini in questo straordinario ristorante piazzato alla sommità del Westin. Succede alla brava Enziana Osmenzeza che presto dovrebbe aprire oltrarno il suo ristorante, ed è reduce dall’effimero trionfo delle Tre Lune passate dalla gloria della stella Michelin all’improvvisa chiusura in pochi giorni. Nel frattempo ha avuto altri brevi esperienze, tra le quali un passaggio interessante nella brigata di Guida al nascente Seta del Mandarin di Milano. Dopo un anno ritroviamo Matteo molto più maturo, per carattere e per stile di cucina. Non ha rinnegato il suo amore per la Francia, non ha abbandonato la linea classicheggiante delle ricette, ma di sicuro ci sembra più misurato, un pò meno carico nei fondi e nelle salse, più aperto al mondo che lo circonda e con il quale si deve confrontare. L’unica nota un pò negativa, o diciamo meno brillante del resto, sono i dessert dove si sente la mancanza di Ilaria, ma il resto è una sinfonia di gusto e succulenza che ha pochi rivali: dagli gnocchi alle capesante, dal merluzzo alle animelle. Le noti dolci si susseguono condite dall’untuosità voluta delle gocce di grasso o fondo aggiunto (in perfetta misura) e contrastate ma sempre al livello più basso della possibile scala di valori da una nota sapida o di freschezza (lime, limone, pepe ecc..). Non è una cucina di contrasti, ma di morbidezze a scalare; non è una cucina a 360°: manca infatti una nota piccante, manca una nota amara, manca perfino il croccante, ma c’è in compenso tanta abbondanza di gusto e generosità per il puro piacere del palato. Il piatto peggiore? il risotto. questo sì eccessivamente mantecato, il migliore? l’astice, dove però c’è un grave errore, proprio l’astice! nel senso che è buonissimo, ma il piatto sarebbe stato eclatante senza il crostaceo e di soli tuberi con la sola (magnifica) scorzonera resa intrigante dai lamponi e rape rosse.