Si torna sempre con piacere al Sesto On Arno, sia per la bellezza del posto che per la cucina. Le pareti tutto vetro lasciano la libertà di scoprire la bellezza di Firenze di notte, dentro l’illuminazione è volutamente bassa, ma i punti luce sul tavolo consentono di vedere perfettamente quello che arriva dalla cucina. Brigata giovane in sala e in cucina, quest’ultima guidata da Matteo Lorenzini, chef ancora molto giovane ma anche molto esperto con alle spalle lunga esperienza in Francia con anche Ducasse. E la sua cucina ne risente ampiamente. Precisiamo che quando diciamo questo per noi non è una nota negativa ma positiva. Siamo convinti della qualità della cucina d’oltralpe dove ogni chef che si rispetti dovrebbe comunque andare almeno per uno stage per apprezzarne il rigore, l’ordine, la programmazione, l’approccio mentale, l’orgoglio professionale. E’ vero, a volte è una cucina un pò troppo elaborata e tende ad essere pesante, ma attualmente vanta anche una schiera di chef di assoluto rispetto che hanno imparato e assorbito la lezione di leggerezza. Tornando a Matteo questa lezione ancora non è forse del tutto acquisita (pensiamo soprattutto alle due paste che ci sono arrivate), ma dobbiamo dire che gli udon sono comunque un piatto di grande impatto visivo e gustativo da applaudire anche se stancanti per il palato. Per il resto una cucina classica di grandi ingredienti, dall’ostrica alle capesante, dal capriolo al tartufo, senza cadute, con anche i dessert curati e all’altezza del resto.
Matteo Lorenzini
Ieri era quasi primavera a Siena. Una splendida giornata che ha dato risalto all’evento Wine & Siena organizzato dal Merano Wine Festival in 4 splendide location del centro storico. Una chicca da non perdere e non ce la siamo persa, anche per incontrare un pò di amici e programmare il futuro.
Non è stato facile il compito dei concorrenti: cucinare poco più che verdure e tuberi, con il solo aiuto del barbecue, ed in sole due ore. Inoltre alla fine è arrivata la pioggia che ha movimentato ulteriormente la gara. Ma bravi tutti perchè aldilà della competizione era questo anche un modo per ritrovarsi e confrontarsi con il giusto spirito in una situazione sicuramente anomala. Guardate queste immagini, magari manca qualcuno, e ci dispiace, ma questo non vuole essere l’album ufficiale dell’evento che sarà invece preparato dai fotografi professionisti che erano presenti.
Avevamo molta curiosità nel vedere da vicino l’approdo di Matteo Lorenzini in questo straordinario ristorante piazzato alla sommità del Westin. Succede alla brava Enziana Osmenzeza che presto dovrebbe aprire oltrarno il suo ristorante, ed è reduce dall’effimero trionfo delle Tre Lune passate dalla gloria della stella Michelin all’improvvisa chiusura in pochi giorni. Nel frattempo ha avuto altri brevi esperienze, tra le quali un passaggio interessante nella brigata di Guida al nascente Seta del Mandarin di Milano. Dopo un anno ritroviamo Matteo molto più maturo, per carattere e per stile di cucina. Non ha rinnegato il suo amore per la Francia, non ha abbandonato la linea classicheggiante delle ricette, ma di sicuro ci sembra più misurato, un pò meno carico nei fondi e nelle salse, più aperto al mondo che lo circonda e con il quale si deve confrontare. L’unica nota un pò negativa, o diciamo meno brillante del resto, sono i dessert dove si sente la mancanza di Ilaria, ma il resto è una sinfonia di gusto e succulenza che ha pochi rivali: dagli gnocchi alle capesante, dal merluzzo alle animelle. Le noti dolci si susseguono condite dall’untuosità voluta delle gocce di grasso o fondo aggiunto (in perfetta misura) e contrastate ma sempre al livello più basso della possibile scala di valori da una nota sapida o di freschezza (lime, limone, pepe ecc..). Non è una cucina di contrasti, ma di morbidezze a scalare; non è una cucina a 360°: manca infatti una nota piccante, manca una nota amara, manca perfino il croccante, ma c’è in compenso tanta abbondanza di gusto e generosità per il puro piacere del palato. Il piatto peggiore? il risotto. questo sì eccessivamente mantecato, il migliore? l’astice, dove però c’è un grave errore, proprio l’astice! nel senso che è buonissimo, ma il piatto sarebbe stato eclatante senza il crostaceo e di soli tuberi con la sola (magnifica) scorzonera resa intrigante dai lamponi e rape rosse.
E’ sempre stato uno dei nostri posti preferiti, una sosta ideale a metà strada tra Roma e Milano. Appena fuori dal mediocre borgo di Calenzano, è subito Travalle chiusa nel verde delle prime colline dell’Appennino. La Fattoria è antica, alcune camere rasserenano la sosta ed il giardino è citato nei libri d’arte come esempio eccellente di giardino all’italiana. Si è sempre mangiato in modo soddisfacente nella trattoria che è posta subito all’esterno della fattoria, ma certo è che con l’arrivo di questi tre giovani è difficile pensare che questo locale rimarrà poco conosciuto e frequentato come noi ce lo ricordavamo. Sono tre amici (due in coppia), tre ragazzi in gamba, tre curriculum formidabili. Devono mettere a punto la sala, visto che i 3 provengono tutti dalla cucina, ma Ilaria, pasticciera sublime, si sta sacrificando per colmare la carenza. Gli altri due fanno a gara in cucina a chi ne sa di più e dalle loro mani esce un fiume inarrestabile di salse, emulsioni, jus e a chi non conoscesse le differenze tra una vellutata e una besciamella, pensiamo che un’esperienza in questo locale sia opportuna e doverosa. Il lato negativo è nell’impatto palatale e nello stomaco: le cose più leggere sono arrivate con i 3 (ottimi) dessert, e questo la dice lunga sul contenuto calorico dei piatti precedenti. Certo è che per chi ama la cucina classica, una visita a Le Tre Lune sarà una vera scoperta, siamo di fronte al miglior ristorante di tale tipo esistente in Italia. Sarà comunque interessante vedere come si evolverà.