Cibo Benessere ed Etica, se ne parla a Teramo in un convegno organizzato dal Comune con l’Università e la regia di Antonio Paolini. La scena è tutta per Massimo Bottura e Niko Romito assieme sul palco, mentre Heinz Beck all’ultimo momento ha dovuto dare forfait e si è collegato in remoto. I video presentati hanno ampiamente documentato il loro lavoro nei vari campi, Beck a stretto contatto con il mondo ospedaliero, Bottura con la battaglia contro gli sprechi e i suoi Refettori sparsi nel mondo, Romito con i suoi approfondimenti sui menù della ristorazione collettiva. Mauro Serafini, professore nutrizionista ha commentato da un punto di vista scientifico e le centinaia di persone presenti hanno capito che alcuni chef non solo fanno ottime ricette ma cercano di affrontare le grandi problematiche della salute e del sociale. Piacevolissima poi la chiusura della serata al Cipria di Mare con Massimo Bottura e Niko Romito allegri e rilassati. Menù firmato dallo chef residente Alessandro De Antoniis e Sabatino Lattanzi. Ringraziamo il sindaco Gianguido D’Alberto e l’assessore Antonio Filipponi per il gradito invito.
Massimo Bottura
Dietro c’è una famiglia importante, un progetto e un’idea, davanti un gruppo di giovani ragazzi e ragazze bravi, simpatici e coesi. La somma è una delle novità più interessanti che ci siano. Cominciamo dall’inizio. Marco Bizzarri è il CEO di Gucci da tanti anni, ed è un pò l’artefice della grande crescita di questa Azienda. Quando era ragazzo, come tutti noi, anche lui andava a scuola. Il caso ha voluto che accanto, nello stesso banco, ci fosse Massimo Bottura. Sono cresciuti insieme, poi hanno preso strade diverse, ma sono ambedue arrivati al vertice della loro carriera. A questo punto si sono ritrovati professionalmente. Massimo Bottura ha cominciato ad aprire “Osteria Gucci” in varie città del mondo (Firenze, Los Angeles, Tokyo), in comune non ci sono solo affari, ma la stessa visione del mondo. Un mondo dove il cibo è cultura, dove il buono va a braccetto con il bello, dove la sostenibilità è il vivere quotidiano. Stefano, figlio di Marco è cresciuto con questi valori ed è sempre stato affascinato dalla ristorazione. Da qui l’idea di entrarci e viverla fino in fondo. Con la compagna Allegra Tirotti, architetto, hanno rilevato questo locale di lunga storia e grande panorama a monte Gabicce alcuni anni fa. Poi hanno cercato di individuarne tutte le potenzialità ed hanno messo a punto il progetto, che dopo una lunga incubazione sta partendo, anzi almeno la ristorazione è sicuramente partita. Su questa adesso ci focalizziamo, non senza un minimo parlare della cornice: la cura dei dettagli, dell’arredo, della sostenibilità. Ogni cosa è stata pensata e realizzata con il pensiero di chi va oltre il domani. Parliamo ora di chi ci mette la faccia. In primis sempre la coppia dalla quale tutto è partito, Allegra e Stefano, che accolgono e seguono gli ospiti. Ma se loro non hanno ancora la professionalità di lungo corso necessaria alla gestione corretta del tutto, c’è chi da’ una mano. Sia in sala, come il giovani e preparato Alessio Di Iorio, sia in cucina dove il responsabile è Davide Di Fabio. E’ difficile dire dove finisce Davide Di Fabio e comincia Massimo Bottura. DI certo Davide ha vissuto tantissimi anni accanto a Massimo e ne ha appreso, meglio forse di tutti, la filosofia e le idee. Davide è abruzzese, ha sempre avuto un pò di nostalgia per l’Adriatico, e dopo tanti anni alla Francescana desiderava anche lui mettersi in gioco di persona. E il contesto ci sembra la soluzione migliore. A fianco ha il bravissimo Alessandro Fabbrucci (che segue anche l’orto) con il quale dialoga perfettamente e tanti altri ragazzi giovani ed in gamba.
Il primo menù è già sorprendente. Un percorso che strizza l’occhio al passato, omaggio all’amarcord felliniano, per poi proporci una cucina di grande gusto, senza troppe avventure, ragionata e moderna. Una serie di piatti senza sbavature, ben eseguiti, anche gradevoli all’occhio senza per questo ricercare l’estetica maniacale. Difficile segnalare il migliore tra tante perle, ci limitiamo a notare che la parte finale dei dessert, pur essendo buona non è ancora (ma siamo agli inizi) all’altezza di quanto arriva prima. Bravi quindi tutti, con la voglia di ritornarci quanto prima.
Non “villa”, ma “casa” Maria Luigia e, nonostante il lussuoso confort che cerca di prevenire ogni desiderio dell’ospite, la sensazione rimane quella di una “casa”. Casa Bottura per l’appunto dove Lara e Massimo hanno portato qui i loro sogni e sono riusciti pure a realizzarli, per altro in tempi brevi. Il sogno è ancora aperto, forse ci saranno altre puntate, ma già quanto è in essere rende questo posto unico nel suo genere. Basta aprire il frigo della camera per capire che siamo in una struttura che è attenta a questo genere di cose, ma conoscendo loro c’era d’attenderselo. Come anche le opere di arte moderna appese alle pareti, come pure il buon gusto dell’arredo che ripercorre i grandi classici del design. La musica è un’altro amore di Massimo, e oltre 5000 vinili di musica classica jazz e pop sono a disposizione degli appassionati in un boudoir da sogno professionalmente attrezzato. Quello che sorprende è la semplicità dell’accoglienza, la professionalità del giovane team che è in esercizio da pochi mesi con anche un lockdown di mezzo e che sembra invece nato per riceverti. Abbiamo passeggiato sotto gli alberi secolari, tra le vasche degli ortaggi di un orto a stella, e ovviamente dormito, non nella Casa, ma nella nuova dependance, un gioiello di tecnologia, con lounge sala da pranzo e cucina anche questa a disposizione delle tre camere che contiene. Per ultimo la prima colazione, semplice ma diversa, rasenta la perfezione. Non le solite cose che potete trovare ovunque, ma è il territorio che vi dà il buongiorno con delle semplici (apparentemente) ricette che lasciano a bocca aperta, come il più buono ed elegante erbazzone mai assaggiato, la frittata di cipolle che chiamarla frittata ci pare un affronto, e potremmo continuare con lo gnocco fritto che sembra una nuvola, la focaccia dolce e salata ed altro ancora. Grazie Jessica per averci preparato queste bontà.
Il brunch, acronimo di breakfast e lunch può essere un po’ dell’uno o dell’altro, ma anche una terza via. E ci sembra che Lara e Massimo Bottura abbiano scelto quest’ultima. Non è un breakfast, non ci sono praticamente cereali, muffin, croissant e torte; non è un lunch e nemmeno il pranzo della domenica che in genere contempla poche tradizionali portate. Diciamo che è una specie di via di mezzo tra un picnic servito al tavolo per via della dimensione campestre, e un barbecue americano per la cottura (ma c’è anche il forno a legna oltre alla griglia e all’affumicatore) e la musica dal vivo. C’è convivialità, familiarità senza dimenticare le buone maniere con un servizio efficiente e puntuale, mentre dall’angolo cottura i ragazzi coordinati da Jessica si muovono con eleganza ma anche tanta precisione. Le portate si susseguono con il fumo che fa da filo conduttore e con il suo irresistibile richiamo che emana dalla zona forno, giocando spesso sul riuscito contrasto: amaro del fumo che rende croccante la superficie dell’ingrediente versus il dolce e il morbido dell’interno. Buono l’inizio con una pancetta completata dal pomodoro che sa di fumo e dalla ricotta al forno, sensazionale la frittata di cipolle senza cipolle (tolte alla fine) cotta a bassa temperatura nel forno con anguilla laccata. Ma è buono pure il resto, dall’elegante baccalà in leggera crosta alla costoletta di vitello anch’essa finita al forno a legna. Rinfresca il sorbetto, mentre un po’ troppo vischioso è il S’more please (una specie di marshmellow semiliquido). E poi il brunch è un modo anche di godersi della presenza di Lara e Massimo che, fuori dall’ufficialità dell’Osteria Francescana, qui ritrovano la loro vera dimensione e la voglia di divertirsi e inventarsi nuove formule di mangiare e di vita. E lo vedremo presto, quando con l’autunno il brunch prenderà nuova forma, quale? siamo anche noi curiosi di scoprirla.
Arrivare al vertice è sempre difficile, ma ancora di più rimanerci. Abbiamo conosciuto proprio agli inizi Massimo Bottura, quando era ancora alla trattoria di Campazzo, prima di partire per New York, conoscere Lara Gilmore e da lì diventare il grande chef che è. Il successo spesso annebbia le idee, cambia il carattere, ti fa perdere il contatto con il mondo reale. In questo Massimo secondo noi, sostenuto da una grande apertura mentale, una cultura a tutto campo e una capacità di dialogo come pochi, riesce a mantenere il giusto equilibrio: cucina per i ricchi, alla sua tavola si siedono i VIP più famosi, ma non dimentica che c’è un altro mondo; ed è così sempre in prima linea anche con i suoi Refettori, con i tanti progetti di Food for soul. Non venivamo da un paio di anni ed eravamo quindi curiosi: la sua cucina come si sta evolvendo? Dal momento che amiamo quanto lui anche la musica, un pò di tutti i generi, dal jazz all’opera, ma anche quella pop, amiamo ovviamente anche i Beatles, siamo crexciuti con il loro sound (anche se poi abbiamo preferito i Pink Floyd). Sgt Pepper Lonely Hearts Club Band per chi ha vissuto quell’epoca è stato come uno squarcio che apre un nuovo mondo. Un passaggio dalle canzonette gradevoli, spigliate ma leggere tipo Please me, ad una musica di gran lunga più complessa, più in linea con i tempi, un preludio al cambiamento di stili di vita che ha accompagnato la cosidetta rivoluzione dei fiori. Godersi un menù che ne ripercorre in senso gastronomico i messaggi è non solo interessante, ma illuminante perchè in un certo senso apre anch’esso verso un orizzonte gastronomico diverso che potremmo sintetizzare con uno dei titoli del menù: cellophane flowers & kaleidoscope eyes. Pur non essendoci nel menù un piatto vegetariano, sono le erbe le foglie i fiori i veri protagonisti della lunga carrellata di pietanze non solo per il cromatismo di ogni presentazione ma per l’intenso effluvio dei loro aromi. La sequenza non è a scansione (es piatto acido, poi dolce, poi amaro ecc..) ma ogni piatto è un caleidoscopio non solo di colori ma anche di sapori, potremmo dire un doppio arcobaleno. Sorprende perfino il pane, la brioche iniziale che ci ricorda quella magica di Lenotre, qui viene completamente rivista per proporre non tanto la grassezza del burro quanto la complessità dei sapori che vanno dol dolce al sapido, un vero pasto a se stante. Un delicato e intrigante fish & chips è quello dello Yellow Submarine, una potente costruzione quella del risotto di Strawberry Fields dove dolcezza (riso e gamberi) acidità (fragole e lambrusco) aromaticità (pepe ed erbe) fumo e grassezza (mozzarella di bufala affumicata) si succedono nel palato in un lungo inseguimento. Il piatto che forse ci ha più colpito è il successivo: il merluzzo al curry verde, un piatto bellissimo di grande nobiltà, elegante, giocato con pochi protagonisti (il pesce, la salsa, e la sfumature del verde), senza tempo e luogo (il merluzzo e il curry sono ingredienti veramente universali) ma rimane nella mente come un capolavoro di arte moderna. Altro gran piatto è il piccione. L’unica osservazione che facciamo è sul piccione in quanto tale, fin troppo ricorrente in tutte le grandi tavole d’Italia (e non solo), ma qui vorremmo vedere un tacchino, un coniglio, meglio ancora il pollo! Ma tornando al piccione è di certo difficile trovarlo in una versione così raffinata, di consistenza quasi burrosa nel petto, di sapore deciso e ficcante nella crocchetta. Largo è lo spazio dedicato ai dessert, anche qui non ci si annoia: dalla cremosità intrigante della creme caramel all’effervescenza del Summer is coming, e alla golosità della nuvola di zucchero finale. Manca solo forse nel complesso una nota croccante più pronunciata. In sintesi un’esperienza che ci conferma che Massimo è sempre lassù, in alto, diciamo riprendendo i Beatles in the sky with or without Lucy, shining on the crazy diamonds (questa volta citando i Pink Floyd) dove i crazy diamonds sono i suoi ragazzi della sua brigata, ai quali sembra lasciare più libertà di esprimersi e di fare di quest’Osteria Francescana un posto senza necessario riferiemnto territoriale ma capace di spaziare lontano e interagire con il mondo. Ed è notizia di queste ore che Massimo è stato nominato Ambasciatore dell’ONU per i suoi meriti e la sua visione umnitaria. E’un riconoscimento che premia Lui, ma anche l’Italia tutta.
Non c’è descrizione ma solo classificazione, più che una guida è quindi mettere in fila la ristorazione italiana. Conosciamo bene i curatori e ci si può fidare, poi come tutte le classifiche ognuno ha la sua. Ci piace la divisione per prezzo, meno quella per categoria. Che senso ha definire trattoria/osteria la prima fascia della ristorazione e poi metterci locali come Retrobottega del bravo Giuseppe Lo Iudice, tanto per fare un nome (che di sicuro non appartiene a questo genere)? Ci piace anche che non sono stati privi di coraggio (premiando nella prima decina molti ristoranti che in genere per tanti vanno nella seconda decina e viceversa) anche se personalmente non condividiamo molte di queste scelte. I curatori sono del sud e si avverte con una larga presenza della regione Campania nella fascia alta, ma siamo i primi a dire che premiare il talento di Oasis o di Nino Di Costanzo è cosa giusta e sacrosanta. Un plauso aver rimesso al centro del paese (direbbero così i francesi) un Gabriele Bonci fin troppo penalizzato nella classifica della pizza e per il veder alcuni giovani chef da noi particolarmente amati posizionati in alto (Antonia Klugmann, Gianluca Gorini, Alessandro Dal Degan ecc..). Al vertice è l’Osteria Francescana. Credo che questa sia poi la cosa più importante. Abbiamo molti ristoratori e chef di grande prestigio e bravura, ma Massimo Bottura per sostanza, forma, carisma, reputazione internazionale e azione sociale per noi rimane fuori discussione al vertice di ogni possibile classifica.
Siamo in tanti convenuti qui per la 42sima edizione della guida Espresso, tanti anni a testimoniare un percorso ricco di contenuti. Secondo Enzo Vizzari, il curatore da tanti anni, viviamo un periodo meno scintillante di qualche anno fa, con meno “geni” e un buon talento medio, insomma sono sempre gli stessi i primi della classe. Forse io sono più ottimista: vedo tanti giovani in gamba affacciarsi e fare i primi passi in questo settore. Però è indubbio che il successo dipende non solo dal talento e dalle caratteristiche individuali, ma anche dalle circostanze favorevoli. E sono meno ottimista sul percorso della nostra Italia di questi anni.
Era il 2000 quando Albino Ganapini chiamò Andrea Grignaffini ed il sottoscritto per ideare Alma. Ovviamente Alma non c’era, nemmeno il nome (che mi inventai una notte) ed il logo, non c’era Colorno, c’era solo un sogno. Ed è bello ed emozionante vedere come il sogno sia diventato realtà, cresciuto negli anni, fino a riempire non solo un Auditorium grande come questo Paganini di Parma, ma il cuore ed il cervello di tanti ragazzi. Fino ad oggi più di 10000. E non è solo un bel racconto, ma parliamo di fatti concreti: oltre il 93% di questi ragazzi ha trovato lavoro finito i corsi, e c’è tanta attenzione da parte delle strutture alberghiere come dimostra il successo del Career Day, gli incontri riservati alle aziende per i colloqui con gli ex allievi. Ieri si è inaugurato il nuovo anno accademico alla presenza di Massimo Bottura. Chi meglio di lui è in grado di motivare i ragazzi? di dar loro un messaggio semplice e chiaro che va oltre il gestir le padelle? chi meglio rappresenta oggi una professione che può incidere nella società, nella cultura, nella vita quotidiana di tutti noi?
Il cibo può essere arte e comunque anche l’arte attraverso il cibo può allargare il suo messaggio universale di cultura e bellezza. Qui li troviamo nuovamente uniti e coniugati insieme in nome di quel messaggio sociale ed etico che è alla base dei Refettori creati da Massimo Bottura in giro per il mondo. Ognuno è un mondo a sè, inserito spesso in contesti unici tenendo conto dell’ambiente, tutti sono idealmente collegati e uniti dalla forza della straordinaria impresa che Massimo Bottura ha saputo realizzare. A Napoli il contesto è veramente spettacolare e suggestivo, l’avvio esaltante. Si incomincia domenica coon il pranzo curato da Gennaro Esposito. Lodi a Massimo, ma anche a Lara, che è l’anima del progetto Food and Soul, coadiuvata dalla brava Cristina Reni.
Appuntamento classico è quello della presentazione della Guida de L’Espresso. Con qualche novità: la sede, il Teatro Lirico e non la Stazione Leopolda, ma è questione di pochi passi. E poi i vini, che vengono inseriti un pò artificiosamente dentro la guida dei Ristoranti, affidati al bravo Andrea Grignaffini che si è sforzato di dare un senso al tutto. I ristoranti comunque rappresentano sempre il cuore della guida e la sua indubbia credibilità. Il lavoro è stato immane, anche perchè, come ha sottolineato il curatore storico, Enzo Vizzari, si mangia sempre meglio in Italia e quindi aumenta il numero delle tavole raccomandabili. Ognuno di noi ha poi la sua personale classifica di merito, quindi non entriamo nel dettaglio e pensiamo comunque che sia una buona fotografia dell’Italia gastronomica di oggi, forse vorremmo una piramide un pò più regolare: l’attuale è un pò severa verso l’alto, molto più generosa verso la base. Resta confermata la scelta dei ristoranti storici, una definizione sulla quale personalmente abbiamo qualche dubbio.