Il locale è curioso, dal singolare nome, all’indiscutibile contrasto tra l’ospitalità mediocre delle camere e l’indubbia ambizione del ristorante. Una saletta separata ospita il cosiddetto fine dining dove ci ritroviamo in mezzo ad una clientela elegante (e c’è anche il produttore di un ottimo moscato) e dove ritroviamo una vecchia (nel senso del tempo trascorso) conoscenza: Giorgio Servetto il bravo aiuto di Ricchebuono alla Fornace di Vado. Era bravino un tempo, oggi lo è molto di più e si presenta subito con un pane e dei grissini ottimi, per proseguire con una serie di piatti che declinano il pescato locale con misura corretta e logica costruzione del piatto. Sono pochi in cucina e quindi si deve un pò arrangiare, ma il risultato anche se non è stellare, è sicuramente apprezzabile. Buono il gambero con sedano croccante, delicato il calamaro ripieno, insoliti i cappellacci di scorzonera, notevole il petto di anatra coraggiosamente piccante. Meno centrati l’involtino di sogliola, la triglia con i cardi (passata di cottura e sovrastata dalla salsa) e i cappellacci di lumache. Da migliorare il servizio, ma cortese l’accoglienza del titolare e buon finale con un dessert non molto elegante, ma sicuramente buono e abbinato al moscato di cui sopra, un Ca’D’Gal di ben 6 anni da ricordare.