Un agriturismo in città quello di Giovanni Trinchese, un operatore appassionato che sta cercando di recuperare le antiche varietà dei vari ortaggi per metterle poi a dimora nei campi poco distanti dalla città. In città ha un laboratorio per le lavorazioni e un locale semplice ma caratteristico dove assaggiare e comprare anche i prodotti, freschi o confezionati. Una bella iniziativa che ci ha fatto scoprire Luigi Salomone che ringraziamo.
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Strade d’Arabia, una bella mostra che viene ospitata nelle spettacolari Terme di Diocleziano. Visitiamo reperti famosi, vediamo un bel video sull’oasi di Alula al centro del deserto e del nucleo di tombe scolpite nella roccia di grande suggestione. Buono anche il buffet finale, ovviamente con abbinamento analcolico.
Ringraziamo il Consorzio del Brunello di Montalcino (e in aprticolare Giacomo Pondini, il direttore) per il cortese invito e abbiamo approfittato della bellissima giornata quasi primaverile per ritornare nel bellissimo borgo. Una giornata di festa con il lancio della nuova annata, la nuova piastrella (5 stelle) e la grande degustazione al chiostro del Convento. Ringraziamo anche Massimo Rossi e tutti i suoi sommelier per il cortese servizio che ci ha fatto assaggiare al meglio alcune etichette (tra la decina provate citazione particolare per il Marroneto Madonna delle Grazie, il Poggione e Le Palazzine).
E’ uno dei posti più suggestivi del Levante ligure: siamo a Sestri all’Hotel Nettuno, l’unica costruzione direttamente sulla spiaggia, che conserva in pieno un fascino d’altri tempi grazie alla sua particolare struttura che offre due particolarità: la bella sala ristorante e l’ovale centrale ideale per concerti. Intorno è la cittadina con le sue due baie. Fuori di stagione è bellissimo passeggiare e respirare l’aria pura e tersa di un inverno sorprendentemente mite.
Ci veniamo di rado, nonostante sia a due passi da casa, ma è uno dei posti del cuore. Forse perchè conosciamo Anthony dal suo arrivo in Italia, prima da Pinchiorri, poi in Giappone e poi lo ritroviamo a dirigere una cucina importante, quella di Palazzo Sasso (oggi si chiama Palazzo Avino) a Ravello. E’ uno chef anomalo per il panorama italiano dove a volte c’è tanta passione e creatività, ma forse non altrettanto rigore. Anthony è cresciuto a Parigi, in epoca (oggi anche lì si è un po’ più permessivi) con regole ferree e insegnamenti precisi. Adattarsi non è stato semplice, percorrere un percorso autonomo in prima persona ancora di meno, e gli siamo stati accanto in periodi anche non facili. Poi ecco il Pagliaccio ed un successo non improvvisato, ma costruito con determinazione pazienza e sacrificio. E con due stelle alle spalle, senza un importante albergo ad aiutarlo, non si può nemmeno dormire sugli allori e l’impegno rimane alto e costante. A tutti consigliamo vivamente di visitare questo posto (negli anni diventato pure piacevole e molto elegante) dove Anthony si esprime con la sua non facile cucina, dove il territorio di riferimento è la Terra, dove può capitare qualsiasi cosa dall’abalone all’astice, ma per Anthony l’ingrediente è importante ma ancora di più la ricetta, dove nessun elemento è mai solo, nemmeno per genere (e così troviamo spesso pesce con la carne, mare con i monti), ma nulla è messo lì per caso: Lui segue le sue ispirazioni che per altro sono complesse, a volte sembrano pure un po’ tortuose, ma il suo è un barocchismo indubbiamente suadente e poggiato su una solida e profonda conoscenza dei fondamentali. E a completare ecco l’accoglienza di Marion oggi in sala (ma secondo noi uno sguardo ai dolci, buonissimi, lo dà sempre) e il servizio praticamente perfetto di Matteo Zappile.
Che accoppiata Gianluca (Gorini) + Gianluca (Durillo), cioè un past winner di Emergente con l’ultimo vincitore del Premio lo scorso fine ottobre a Roma! Dopo la Madonnina ritroviamo Durillo alla corte di Gorini dove si fermerà per qualche tempo, prima di spiccare forse il volo. Nel frattempo di godiamo al cucina di uno dei nostri migliori giovani chef, che, meno male, ha trovato anche il successo che merita. Il locale è sempre pieno (e non siamo in una grande città, ma almeno tre quarti d’ora lontani da un centro importante). Qui un tempo c’era un locale delizioso, La Locanda del Gambero rosso, pieno di coccole, trine e merletti e una cucina di vero territorio. Oggi il locale è fin troppo forse essenziale, ma con una vera cucina d’autore. Al servizio troviamo Mauro Donatiello, a testimonianza che in famiglia il mestiere ce l’hanno nel DNA (il fratello Vincenzo è a Piazza Duomo). Al tavolo di fianco è Gianni Tognoni, abile responsabile commerciale di Olitalia che ha anche palato fine (e che ringraziamo del brindisi finale). La nostra serie di assaggi ha un inizio buono (con qualche finger un po’ confuso) poi decolla con un audace cavolfiore marinato e un rinascimentale porro in cartoccio. Sono buoni i due primi (ma poco deciso è il ripieno dei cappelletti) ma sono i due secondi che entusiasmano (difficile dare la palma del più buono) per calare nel finale con due dessert poco emozionanti. Una bella conferma venire qui, merita ormai il viaggio, piuttosto direi che è il momento di migliorare un tantino l’ambiente.
Mancavamo da anni, ma nulla è cambiato, e l’assunzione va letta in senso completamente positivo. E’ uno di quei locali dove ci sono certezze acquisite: la buona accoglienza, la cantina superba, i prezzi corretti e una cucina che non può che piacere in quanto si basa su una esperienza che pochi possono vantare in Italia. Paolo Teverini ha sempre cucinato bene, e non capiamo perché se ne parli tutto sommato poco. E’ sempre in ottima forma, fisica e mentale, con una brigata giovane (merita la segnalazione la brava e giovanissima pasticciera) e con una serie di proposte di ottimo livello. A parte qualche nota sapida di troppo (salmone e scampo), per il resto come non apprezzare l’indubbia eleganza dei piatti e anche la loro bontà (in alto il pan di fegato e l’elegante e misurato risotto)! Insomma Paolo non delude di certo con la sua cucina, con il suo stile sobrio, con la sua persona sempre aperta al dialogo e ad affrontare la vita in modo costruttivo. Venire quassù significa rigenerarsi ed non sarà un caso che ci sono anche le Terme e adiacente al ristorante un ottimo centro benessere.
I vincitori passati di Emergente Pizza sono tutti bravi e molti di loro hanno già ottenuto un bel riscontro professionale. Nessuno forse al pari di Pier Daniele Seu. Il suo locale, ben arredato e compatto, riesce ad accontentare una media di 250 clienti al giorno e parecchi altri è costretto a mandarli via. Meriti tutti suoi: non solo la pizza è buona, ma ha saputo crearsi intorno un team giovane e volitivo, a cominciare da quello familiare (moglie e sorella). Da Seu abbiamo avuto un servizio di primordine tra i migliori mai avuti in una pizzeria anche gourmet e questo nonostante l’afflusso. Anche le prenotazioni entro certi limiti vengono gestite per cercare di minimizzare i disagi. La carta dei vini è anche questa tra le migliori. Venendo alle pizze il cliente può scegliere di base due formati (180 e 80 g, cioè piccola o grande) e tipologia (romana sottile o classica con il cornicione) e anche questo ci pare un bel plus. Il nostro breve percorso di pizze piccole con il cornicione ha confermato anche le grandi qualità di Pier Daniele con 4 pizze una più buona dell’altra. A pari merito al vertice la vegetariana e la supermargherita. Se vogliamo proprio fare un piccolo appunto è per i tre fritti iniziali dalla panatura e crosta eccessiva.
Due amici dei banchi di scuola, Francesco Brandini e Roberto Bonifazi, poi diventati tre con l’aggiunta di Daniele Gizzi, dopo varie interessanti esperienze eccoli ad aprire il loro locale. Per altro un tempo già ben conosciuto come Benito al Ghetto. Sono bravi e non superstiziosi, le due vetrine di affaccio hanno i numeri civici 12 e 14, e loro hanno tirato fuori il 13 per dare nome al locale. Rispetto a prima piccoli cambiamenti nell’arredo per dare maggior respiro e tono, ma senza alterare troppo l’impostazione originaria di trattoria di quartiere. E’ la cucina che invece mostra qualche ambizione, ma anche qui senza alzare troppo la voce. Il menù è , misurato, le voci richiamano prodotti usuali e tranquillizzano l’avventore. Poi però lo sforzo per dar vita ad un piatto più contemporaneo attento e leggero c’è sia nella presentazione che nelle varie cotture degli ingredienti, e si apprezza. E ci vuole coraggio per presentare a Roma un agnello come quello offerto. Complimenti quindi, poi avendoli vicini, aspettiamo anche il cambio di stagione.