Chef modernissimo, ma paradossalmente anche all’antica. Esce poco e malvolentieri dalla cucina, e quando esce è per curare l’orto, cercare gli ingredienti giusti. Poi rientra e non si stacca dai fornelli o comunque dalla sua brigata con la quale perfeziona idee e ricette con concentrazione maniacale. Un tipo di chef che sta quindi scomparendo rispetto a figure molto più mediatiche e ormai esterne alla cucina, anche se secondo noi non ci sono chef di serie A o di serie B, e non è detto che chi sta sempre in cucina abbia poi alla fine sempre ragione. Sono solo modi differenti di concepire e vivere la professionalità e noi comunque apprezziamo il rigore esemplare di questo chef che sicuramente e giustamente rappresenta un simbolo, un ideale da raggiungere per molti chef. Enrico è uno che crede che su questo mondo la perfezione esiste e ci si può arrivare con tanto olio di gomito e applicazione assoluta. Per la casualità degli eventi non ci mangiavamo da 3 anni e ci ritroviamo dopo pochi giorni un’altra volta alla sua tavola. Arrivano piatti e assaggi che ci confermano tutto il buono che universalmente gli viene riconosciuto da più parti. I piatti che direttamente derivano dall’orto sono trascinanti, e la lunga sequenza non stanca mai soprattutto nella fase iniziale che non vorremmo finisse mai. Un pò dolciastro il riso, ottimo l’agnello e si finisce con un’alra brillante serie di note dolci.