Pur avendo Roy imparato il mestiere in Italia, conserva ancora (meno male) le sue radici colombiane ed un’ acuta indipendenza gastronomica che gli permette di affrontare alcune ricette nostrane con animo disincantato. Il risultato, grazie non solo alle tecniche apprese lungo il percorso, ma anche ad un ottimo palato, è notevole. La sua cucina è oggi tra le più interessanti d’Italia, e con un pizzico di nota intrigante e dissacrazione che la rende particolare. Pensiamo all’inizio, alla precisione degli stuzzichini iniziali di chiara impronta sudamericana (uno più buono dell’altro), poi la parentesi piaciona della spuma di patate, poi arrivano i due assaggi forse migliori, due preparazioni da fare al tavolo con le mani arrotolando la larga foglia che fa da contenitore e ripetendo un modo tradizionale di mangiare ancora largamente diffuso in vaste aree del mondo. Tra i primi quelli più tradizionali (le due paste ripiene) ci hanno convinto più dei finti ravioli di pomodoro e dell’antipasta, anche se quest’ultima non passa di certo inosservata per la sua carica gustativa. Splendido e buono il risotto nella foglia di verza e sempre su un alto livello con i due secondi (baccalà e piccione) per finire un pò in calando sui dessert che sono forse la parte più debole della cena. Anche il contorno è pregevole: la sala si è rinnovata ed ora è sicuramente più funzionale ed elegante, il servizio di Paolo Abbale umano e corretto, e ad Alessandro D’Andrea dobbiamo le lodi per gli ottimi drinks di apertura. Un plauso finale a Ciro Scamardella, braccio destro di Roy e ancora fresco vincitore di Emergente Chef 2016.