E’ uno dei pochi casi in cui è difficile per noi essere oggettivi. Conosciamo Paolo Lopriore da quando praticamente cucina, l’abbiamo seguito nel suo girovagare, da Marchesi, da Troigros e così via. Siamo andati perfino alla Bagatelle a Oslo e abbiamo saltato solo il suo passaggio ai Tre Cristi a Milano. Questo per dire che lo conosciamo bene, nelle sue tante evoluzioni tecniche, nel suo pensiero libero, nel suo particolare approccio alla cucina. Al Portico ha rimescolato ancora le carte, ma ci sembra felice, e questo è importante. In fin dei conti è tornato a casa e non solo in senso metaforico: abita nel paese accanto, in sala è la preziosa mamma Rosa Soriano, e a fare la spesa l’aiuta al mattino il babbo Pippo. Il locale è anche intelligente con la cucina al centro, lì dove tutti avrebbero fatto la sala, lascia un piccolo affaccio verso la piazza per un mangiare veloce su sgabelli, e dall’altra parte si accede alla sala attraverso un piccolo dehor che viene utilizzato in stagione. Il nuovo stile di cucina e di servizio è già stato ampiamente descritto. Ci siamo stati a pranzo (dove tra l’altro è ottimo il rapporto prezzo qualità), e siamo stati bene. Paolo in persona, a noi come agli altri tavoli, arriva con i tanti piattini che compongono ogni portata, e il mangiare è goloso, il cliente lasciato libero di comporselo come vuole. E’ troppo basico per uno chef della sua portata? forse, ma crediamo che questa non sarà l’evoluzione finale di Paolo, ma è un passaggio importante dove recupera coscienza, sicurezza e autostima necessaria forse per ripartire un domani con qualcosa di diverso ancora. Ma anche in questa fase riesce a dare un messaggio importante: lo chef deve cucinare non solo per se stesso, ma soprattutto per il pubblico, e una grande cucina può essere anche quella di piccole cose di una volta fatte con attenzione e cura.
Il Portico ad Appiano Gentile
scritto da Redazione Witaly