Prima la Norvegia, seconda la Svezia, terza la Danimarca. Con poche varianti negli ultimi Bocuse d’Or sono sempre state loro a vincere, con, per l’appunto, una leggera prevalenza della Norvegia. Continua quindi il predominio scandinavo e continua la serie nera dell’Italia, mai arrivata finora alla finale di Lione con le proprie gambe. Quando c’è arrivata, come in questo caso, il merito è della wild card, cioè del Jolly a disposizione dell’organizzazione. Eppure quest’anno c’era ottimismo, per altro giustificato, sia per la qualità del concorrente, Martino Ruggieri, sia per l’indubbio vantaggio che questa volta si giocava in casa, a Torino. Non solo c’è stato un cospicuo investimento, ma anche i vantaggi di scegliere gli ingredienti, il tema e perfino l’ingrediente a sorpresa (gli spaghetti) dichiarato pochi giorni prima dell’evento. Vantaggi che non sono stati sufficienti. L’Italia si consola con il premio al miglior commis (che poi è un belga) e di arrivare comunque in finale sulla corsia preferenziale del recupero. Eppure lo sforzo della Regione Piemonte non è stato lieve, si è creata perfino l’Accademia del Bocuse d’Or Italia e un gran sostegno attorno a questa iniziativa. C’è ancora la speranza che a Lione le cose possano andar meglio, speriamo, anche se l’ottimismo si è un pò appannato. C’è anche da dire che il Bocuse d’Or in Italia fa fatica. Mentre all’estero è seguito con attenzione qui a Torino gli spalti erano semivuoti, il numero di giornalisti presenti inferiore di gran lunga alle analoghe competizioni europee, il villaggio degli sponsor ridimensionato, e anche l’allestimento lasciava un pò a desiderare (schermi illeggibili per scarsa luminosità, tavoli delle giurie decisamente poveri, allagamento della postazione francese).