Joel Robuchon, lo chef più stellato del mondo (quante ne ha? forse non lo sa nemmeno lui, secondo gli utlimi conteggi crediamo 28, ma ad ogni guida Michelin nuova che esce in qualche parte del mondo, il totale potrebbe cambiare, ed in genere il numero cresce). Non sarà un caso. Abbiamo il privilegio, facile vista la nostra età, di averlo conosciuto al suo primo ristorante di Parigi, il Concorde – Lafayette, e poi al suo primo ristorante di proprietà, il Jamin. Sembrava poi destinato a vita tranquilla, quando annunziò al mondo il suo ritiro dalle scene, per poi ritornare in punta di piedi con lidea geniale della formula”Atelier” (gran precursore quasi 15 anni fa!) e da lì ripartire sempre più in grande. A Montecarlo è arrivato nei primi anni duemila e con questo ristorante che è ormai diventato una colonna portante del suo impero. Praticamente sempre pieno tutto l’anno, gira come un orologio, affidato al suo fedelissimo collaboratore Cristophe Cussac, qui fin dagli inizi. Alla nostra visita erano assenti entrambi e la brigata era diretta dal giovanissimo Roman Heim, appena trentenne, eppure era tranquillo ed efficiente a testimoniare la grande scuola che è alla base di questa impresa. In sala spiccano le figure di Ahmad Houmani, e di Frederic Woelffé, l’esperto chef sommelier che sovraintende le carte dei vini dei tre ristoranti dell’albergo e degli altri tre punti di mescita, bar, etc. Quanto alla cucina, offre classicità a mani piene, ma senza praticamente alcuna sbavatura. Il piatto a rischio è il primo che arriva, una felice e non facile combinazione tra rape rosse e mostarda, poi il filone è quello classico, ma interpretato alla perfezione, dalla precisione maniacale del rotolo di granciporro alla sontuosità delle due carni, agnello e quaglia. Meno ovviamente ci colpisce il raviolo ben imbottito e coperto di salsa, mentre è difficile rimanere indifferenti ai due carrelli che suggellano la cena: quello del pane all’inzio e quello dei dessert alla fine.